Arrestate 117 persone in Emilia Romagna appartenenti al clan dei Grande Aracri di Cutro, 46 fermati in altri regioni. Tra gli arrestati alcuni imprenditori che hanno ricevuto appalti milionari in seguito al terremoto del 2012. Compresi alcuni poliziotti che fungevano da informatori.

Se qualcuno ancora credeva al falso mito della mafia come questione solo meridionale, oggi dovrà ricredersi perché l’Emilia Romagna questa mattina si è svegliata con la notizia di una maxioperazione, chiamata Aemilia, che ha portato all’arresto di 117 persone. Tutti affiliati al clan dei Grande Aracri di Cutro (Crotone), ramificato in regione già da tempo, soprattutto nella zona di Brescello.

Tra gli arrestati ci sono anche diversi imprenditori che hanno ditte nel settore dell’edilizia, tra cui Giuseppe Iaquinta, padre dell’omonimo calciatore, e Augusto Bianchini che ha partecipato agli appalti per la ricostruzione post terremoto in Emilia. E ancora Nicolino Sarcone, considerato il reggente della cosca su Reggio Emilia ed il consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani di Forza Italia, finito sotto custodia cautelare. Tutte persone, anche se il giornalista Pino Maniaci li definirebbe “Pm” (pezzi di merda), ritenute responsabili a seconda dei casi di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi da fuoco, intestazione fittizia di beni, riciclaggio, emissione di fatture false.

Infine nelle carte dell’inchiesta sono spuntate anche minacce ad un giornalista di un quotidiano, mentre un altro invece è finito agli arresti. Sono state fermate inoltre anche sei “talpe”, usate dai Grande Aracri per repire informazioni: si tratta di tre ex carabinieri in congedo e tre poliziotti.

E se nel 1962 la parola mafia entrava per la prima volta nelle case degli italiani grazie ad Enzo BIagi, facendo nomi e cognomi degli affiliati al clan di Cosa Nostra, oggi ormai anche il Nord non è più, già da tempo, un territtorio vergine. “Anzi, è proprio nel Nord Italia che i mafiosi accrescono maggiormente i loro affari – spiega Antonio Monachetti di LIbera Bologna -. Ci sono delle zone qui da noi in cui addirittura si ripropongono gli stessi meccanismi del Sud, anche con forme di controllo sociale. In altri luoghi invece si punta a celarsi perché l’obiettivo principale è quello di radicarsi nell’economia, riciclare denaro ed investire nei settori più propizi per accrescere le proprie ricchezze”.

Le mafie, come spiega da tempo Libera, non riescono a radicarsi da sole su un territorio, ma hanno bisogno di alcuni illusi che le spalleggino e le aiutino, sperando nel tempo di guadagnarci qualcosa. “Si tratta spesso di persone legate al mondo delle professioni e della arti che si prestano, nel tentativo di far soldi, ad essere il cavallo di troia delle organizzazioni mafiose, pensando di poter competere con loro – continua Monachetti -. Ma questo è impossibile perché quando questo tipo di criminalità entra in un territtorio, distrugge tutto come un cancro”.

Oltre in Emilia, l’indagine condotta dalla procura distrettuale antimafia di Bologna, ha portato al fermo anche di altre 46 persone in Lombardia, Piemonte, Veneto e Sicilia. Una notizia che ancora una volta sottolinea l’importanza di tutto il lavoro che le associazioni contro la mafia stanno compiendo da anni. “Ognuno ha il proprio ruolo, noi affianchiamo come possiamo il lavoro delle istituzioni preposte e come rete possiamo costruire una comunità coesa e partecipe che può aiutare a vedere subito dove c’è un tentativo di infiltrazione, e denunciarlo. Dove il territorio è unito, si riescono a reggere meglio i tentativi di controllo sociale” conclude Monachetti

Francesca Candioli