Il Pd stravolge il ddl per la ripubblicizzazione del servizio idrico giunto in commissione Ambiente. Lo denuncia il Comitato Acqua Bene Comune, che mette sotto accusa anche il Testo Unico sui servizi pubblici locali: “Nega possibilità di gestione attraverso enti pubblici”.

L’iniziativa di legge popolare, presentata nel 2007 e sottoscritta da 400mila persona (la soglia minima è di 50mila firme, ndr), poi il referendum abrogativo del 2011. Nel frattempo la proposta di legge popolare viene fatta decadere con il cambio di legislatura, per essere ripresentata da un centinaio di deputati. Fino ai giorni nostri, che vedono il Pd “stravolgere” la disciplina di ripubblicizzazione del servizio idrico in commissione Ambiente.

Sono le tappe che, a fasi alterne, hanno segnato le sorti del servizio idrico che in tanti e tante vogliono pubblico. A ripercorrerle è Andrea Caselli del Comitato Acqua Bene Comune di Bologna. “In commissione Ambiente – spiega Caselli parlando del passaggio in corso – Il Partito Demopcratico non ha fatto altro che togliere il cuore della legge che è il processo di ripubblicizzazione. Quindi, praticamente, resta una scatola vuota che addirittura conferma i processi di privatizzazione in atto“.
Intanto, riferisce Caselli, dal ddl ‘riformato’ i parlamentari di M5S e Sinistra Italiana hanno ritirato le firme.

Se non bastasse, il passaggio parlamentare, a intervenire sul servizio idrico c’è anche il Testo Unico sui servizi pubblici locali, decreto attuativo della legge Madia. Come chiarisce lo stesso Caselli, “Nel decreto Madia si vieta addirittura la possibilità di gestire l’acqua attraverso degli enti pubblici o delle aziende speciali pubbliche. Perchè dice: ‘l’unica gestione possibile è quella con delle società per azioni'”. Gli articoli del Testo Unico, inoltre, “Riducono la possibilità di utilizzare spa a totale capitale pubblico, perchè per quelle viene utilizzato un percorso ad ostacoli molto più complesso di quello che c’era prima”.

Il Comitato denuncia poi la ricomparsa della disciplina che prevede l'”adeguatezza della remunerazione del capitale investito” nella composizione della tariffa. Insomma: gli utenti, i cittadini, dovranno farsi carico (anche) di quegli investimenti. “Complessivamente – è il giudizio di Caselli – Sarebbe un atto di negazione del risultato referendario”.

Intanto, è di pochi giorni fa la notizia di una prossima dismissione delle quote pubbliche della multiutiliy Iren in Emilia. Alla faccia del servizio pubblico.